Inno al grappolo

Tempo di vendemmia – vedere toccare assaporare – il grappolo che bellezza
nella storia e nella pittura

Settembre è tempo di vendemmia; qualche decina di anni fa abbiamo detto, si vendemmia è ottobre.
Il clima è cambiato e i ricordi rimasti nella memoria non coincidono più con la realità presente.
Solo la “Fogarina”, vitigno autoctono, fa eccezione; in passato la si vendemmiava anche a novembre, a volte con la neve, come risulta dei registri del tempo. Tuttora è l’uva che rimane più a lungo sui tralci.
I pampini verdeggianti, hanno lottato per sopravvivere, con le gelate primaverili, che hanno colto di sorpresa le giovani gemme, pronte a schiudersi, con la grandine, l’acqua ed il vento, che li hanno sferzati, con incredibili forza e violenza, con la siccità estiva e con le malattie sempre in agguato; ora, orgogliosi, presentano i bei grappoli appesi, pronti per essere raccolti, che occhieggiano fra le foglie lobate, di un bel verde intenso, striato di giallo e di viola, giocano a nascondino o mettono in evidenza i bei colori ambrati e rossastri e i violacei e i blu quasi neri.
È difficile definire il colore dell’uva che è l’intreccio di tanti toni cromatici.

I raggi di luce, trovando un varco fra le foglie, illuminano gli acini, creano riflessi e ombreggiature, che costruiscono e ne valorizzano la rotondità.
Il grappolo è un capolavoro di bellezza, nella sua struttura e nei suoi colori. Ogni vitigno produce grappoli di forme e dimensioni diverse: strutture allungate o più compatte, peduncoli più o meno visibili, acini tondi ed ovali, piccoli o più gonfi, ma tutti ricchi di succo prezioso.
Nelle vigne di piccole dimensioni, la vendemmia avviene ancora in modo manuale con conseguente tutela della qualità. I grappoli fortunati vengono recisi delicatamente da forbici affilate, soppesati da mani che gioiscono nel toccare gli acini turgidi, prima di deporli nel cesto ed ammirarli con soddisfazione.
Questo è un momento di festa in campagna e lo è stato ancor più in passato, quando la fatica del lavoro dell’uomo veniva mitigata dal piacere di stare insieme in compagnia, dall’aiutarsi reciprocamente, dal condividere l’ansia e la gioia del raccolto. Queste emozioni, purtroppo, vengono spazzate via, quando la vendemmia viene effettuata dalla macchina, che, sì, allevia la fatica fisica, ma che interrompe quella sinergia generatasi fra l’uomo, il suo lavoro e la natura.
Noi ci riteniamo fortunati, per provare ancora, insieme ai nostri bambini queste emozioni, per poter guardare i filari con i grappoli che vibrano al sole, ammirare i colori, odorare i profumi del mosto, ed assaporare aromi, che conquistano il palato.

Aromi e profumi che hanno allietato le mense dell’uomo, fin dai tempi lontani, sotto forma di vino e di aceto.
Tutti i popoli che si sono affacciati al bacino del Mediterraneo, hanno coltivato la vite, ricavandone vino e di conseguenza aceto, che dal vino naturalmente deriva.
I Romani ne hanno fatto un punto forte della loro alimentazione, lo hanno lavorato, cotto, miscelato con acqua e miele, ricavato aceto, che consideravano corroborante e disinfettante dell’apparato gastro-intestinale, per questo lo fornivano in grande quantità agli eserciti. Nella pianura padana, coltivavano vitigni che per le loro caratteristiche, erano particolarmente adatti a produrre aceto.
Nella rocca di Canossa, sotto il dominio di Bonifacio e della figlia Matilde, intorno al 1046, si produceva un aceto particolarmente apprezzato, conosciuto in gran parte dell’Europa. Lo testimonia la famosa botticella d’argento, regalata da Bonifacio, al Re Enrico II di Sassonia, in occasione della sua venuta in Italia, per essere nominato imperatore; il Re infatti, essendo venuto a conoscenza di quanto si produceva a Canossa, aveva fatto sapere a Bonifacio di voler assaggiare il magico prodotto.

Il grappolo non ha donato solo piaceri a tavola, ha anche affascinato i pittori che lo hanno rappresentato, nelle loro opere, ma chi lo ha reso protagonista del quadro, insieme all’altra semplice frutta è stato Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, nel famoso “Canestro di frutta”, agli inizi del 1600.
Il crudo realismo, che ha caratterizzato la pittura dell’artista, non trascura ogni dettaglio: i grappoli dell’uva, disposti in primo piano, adagiati sul bordo del bel cesto intrecciato, vivono colpiti dalla luce, che mette in evidenza un ricco cromatismo. Le foglie fresche ed avvizzite, la frutta sana e quella bacata, posano vicine, ed hanno la stessa dignità all’interno dell’opera.
Il dipinto, si colloca, perciò, non solo come capostipite ed esempio, mai raggiunto da tutte le nature morte, dal 1600 in poi, ma anche quale germe ed emblema di tutta la pittura moderna.

Famiglia Cantoni